l trionfo dei sofisti, la disfatta della Sicilia

In un ennesimo pomeriggio afoso catanese da accademico modello, camminando per strada, dopo aver registrato l’ennesimo esame della sessione, decido di fermarmi ad una edicoletta di piazza Umberto, attirato dall’ennesimo capitolo di un videogioco di macchinine truzze che rincorrono altre macchinine truzze, la mia passione videoludica. già mi pregusto il sollazzo di sistemare livree, sospensioni e cerchioni, quando il mio sguardo viene attratto da una ributtante faccia da provola che poi identificherò in Marcello Dell’Utri. sotto leggo un titolo che mi lascia alquanto perplesso che recita: “sentenza imperfetta”, e poi: “il tentativo di strumentalizzare il processo al senatore di FI per tenere nascosta la verità su quegli anni roventi”.

si tratta de I Vespri, settimanale che propone l’altra informazione, in un articolo che non ha nulla né di altra né di informazione.

salto subito all’articolo, e leggo:

“Nel processo dove un po’ tutti sono andati sopra il rigo, con dichiarazioni fuori tono e in parte sbagliate nella forma e nella sostanza , a trionfare sono solo i sofisti. Così, “se l’uomo è la misura di tutte le cose, delle cose che sono perchè sono e delle cose che non sono perchè non sono”, Marcello Dell’Utri, protagonista, suo malgrado, di un’immaginaria commedia scritta a quattro mani da Protagora e Gorgia da Lentini finisce con l’essere la misura di tutte le mafie: delle mafie antecedenti al 1992, perchè lui c’era, viveva a Palermo e se non ha “mafiato” direttamente, lo avrebbe fatto comunque per proprietà transitiva; e anche delle mafie post ’92 che, dopo aver usufruito dei suoi servigi, lo avrebbero mollato. Incredibile ma vero (o quasi).[…]

E’ già preoccupante leggere il sottotitolo che sostiene di veder cadere “il castello accusatorio un po’ temerario costruito dai pm”, ormai così onnipresente in quella informazione da strabordare per eccedenza pure nell’altra, ma poi il signor Nivasio Dolcemare  (tra l’altro nome fittizio mutuato da un libro di Alberto Savinio, il che dice molto sul livello dell’articolo e dell’autore) mi stupisce scrivendo che questo castello era costruito con l’instabile malta di “un insolito mix di interpretazioni meta-sociologiche e nuovi pentiti di mafia”.

La condanna per concorso esterno (che già mi par grave di suo) viene completamente dimenticata, annichilita, salvo poi tornare messa in bocca ad un procuratore della Repubblica (tale Messineo) e venir bollata come fuori luogo, solo perché tale procuratore si è permesso(!) di spiegare l’ovvio, in un epoca in cui l’ovvio se taciuto intenzionalmente per non essere riportato, tanto ovvio non è.

Ma l’altro giornalismo di Dolcemare non si ferma qui: reputa solo un fuori luogo le affermazioni di Dell’Utri che erige Mangano ad eroe, e sminuisce la persona stessa di Dell’Utri cercando di auto convincersi che cultura e capacità di questo uomo siano alquanto sopravvalutate. Insomma, solo un mentecatto che straparla, e pure male. E poi si prosegue con un viaggio nel tempo, fino al’esplosione di Tangentopoli, dove “Falcone tra l’ostracismo di molti suoi colleghi (invidiosi) e delle sinistre comuniste, lavora al Ministero di Grazia e Giustizia“, punta alla Procura nazionale antimafia ma viene fermato dal CSM e solo dopo dalla mafia con le sue autobombe. vi risparmio tanti altri anni di revisionismo operati nei piccoli dettagli, (ma si sa che alla lunga sono quelli che fanno la differenza) e vi riporto subito al ceppo principale del discorso.

Dolcemare opera un atto comune già da tempo al giornalismo siciliano, il vedere la pagliuzza nell’occhio del vicino e ignorare la trave nel proprio. infatti bolla come sofisti tutti i componenti del meccanismo che finora si è impegnato nello svolgere il proprio lavoro, raccogliere informazioni riguardo una vicenda oscura da sempre e che meritava chiarezza, una volta per tutte.

Ma se ci si permette di assurgersi a critica da una posizione così facile, la bravura necessaria è davvero poca. Allora proviamo a guardare il tutto da un’ottica differente:

Sofismo innanzitutto è una corrente filosofica sviluppatasi in Grecia a partire dalla seconda metà del V secolo a.C. e pone al centro della sua riflessione l’uomo e i problemi relativi alla morale, alla vita sociale, e politica. A partire dal V secolo, invece, si chiamarono sofisti quegli intellettuali che facevano professione di sapienza e la insegnavano dietro compenso, cosa che infine, superati i Socrate, i Platone e gli Aristotele, cominciò all’epoca a dar scandalo, dato che già allora si pensava che il sapere dovesse essere libero e mai veicolato.

In fin dei conti il nostro Dolcemare non è forse un sofista del V secolo? un presuntuoso che da un seggiolo un po’ più alto decide di divulgare la sua “sapienza”, ricevendo alfine un compenso?

Ma naufragar m’è aspro in questo Dolcemare.